I VIZI (Peccati Capitali)

LUSSURIA
Vizio dell'intelligenza, la lussuria accompagna
la nostra esistenza talvolta mostrandosi sfacciatamente,
talvolta nascondendosi dietro una maschera del perbenismo sociale.
La giovane lasciva che, guardandosi allo specchio,
si bacia mostra tutta la volgarità del desiderio smodato di sé,
ma più pericolosa è la lussuria della giovane che si copre il viso
con la maschera e che finge un atteggiamento pudico: questa è
la lussuria che non avvertiamo,
di tante persone volgari e spregiudicate che si annidano nelle pieghe
del nostro sistema sociale.

GOLA
Vivere per mangiare o mangiare per vivere?
La gola è vista qui come
bramosia insaziabile di cibo che
offusca la mente e spinge a
desiderarlo in modo smodato.
La vista, il gusto sono coinvolti
in successione in questo desiderio
di possedere e di mangiare.
La scelta del cibo migliore
coinvolge la vista, l'assaggiare
il gusto, che anticipa il godimento nel
quale il goloso perde ogni
ritegno e precipita nell'ingordigia.

AVARIZIA
Questo vizio è rappresentato
da una persona anziana, come emblema del vivere male:
l'ansia di possedere diventa patologia e metafora dell'attaccamento
morboso alla vita intesa solo come possesso.
Raffigurata in compagnia della morte alla quale lascia
metaforicamente le sue ricchezze (poiché non le potrà
portare con sé), questa
vecchia è fissata in un'espressione mista di sospetto e di paura
di essere derubata, immagine
di una vita fatta solo di stenti, concessa al potere dell'avarizia.

IRA
Paragonabile al fulmine che,
nell'istante in cui colpisce un albero lo spezza,
l'ira è il sentimento che si appropria,
in pochi attimi, della persona
e che le fa perdere ogni senso
della ragione e della lucidità,
facendole cambiare fattezze e lineamenti.
In questi momenti
nulla fa da barriera al traboccare incontinente dell'iracondo:
né le persone, né le cose si possono salvare.
Il sentimento
dell'ira mette in evidenza la parte più bestiale dell'uomo.

SUPERBIA
Ancora raffigurata in una donna anziana,
la superbia è la materializzazione
di un vizio che si trascina per tutta la vita, andando
contro al luogo comune che l'età avanzata
dovrebbe significare saggezza, pace, tranquillità e altruismo.
Mettendo in ombra gli altri e schiacciando le altre persone
la superbia si circonda di un muro impenetrabile
di solitudine che ha come unico referente il proprio
io ingigantito che sfida ogni situazione e tempo.
Per questo la superbia è da considerare come la madre
di tutti i vizi.

INVIDIA
è il vizio di chi non accetta il valore e la bellezza altrui:
e per questo tenta di coprirla,
calpestando felicità,
capacità e bravura degli altri.
La bellezza da ritratto,
espressiva, da incorniciare non è ancora la bellezza interiore.
La natura ha donato a chi
non è bello altre qualità,
e soprattutto la possibilità di imparare: libri e assi che
diventano un giaciglio sono l'immagine
dell'ingegno e della cultura
che fanno nascere una bellezza che rimane, che non
si deteriora e che insegna a sentirsi meno invidiosi.

ACCIDIA
è l'indifferenza verso Dio e verso la sua parola,
a tutto ciò che ,la fa crescere e praticare.
è il vizio di chi non fa né
bene né male, non distingue il bello dal brutto.
L'accidia è lo sguardo indifferente della ragazza
in primo piano e lo sguardo vuoto
della statua che guarda il crocifisso,
metafora dell'impossibilità
di vedere Dio con uno sguardo
di pietra.
Vivere senza Dio è
come vivere senza aver vissuto.

L'OTTAVO
è il vizio senza nome che ha sempre attanagliato l'uomo
dalla notte dei tempi;
è il vizio che riassume tutti gli altri perché è
la degradazione totale dell'uomo
che si lascia comprare, che si vende, che annulla la propria
personalità.
La statua di pietra senza testa, che si sgretola ed è tenuta
assieme da fascette d'oro, è l'immagine del marciume
interiore di tanti che, grazie al loro potere e alla loro ricchezza
- valori solo esteriori -
corrompe e attribuisce merito a chi non ne ha.
La ragazza che si è venduta fa parte, ormai,
del girone senza fine di coloro che si stanno trasformando
in pietra perché hanno perduto la dignità
del cuore e dell'intelligenza.
PECCATI CAPITALI
Come un frutto alle soglie della marcescenza Cimentarsi nella serie dei sette vizi capitali, è un po' come ripercorrere tutta la storia dell'Occidente, non solo Cristiano, seppur da questo la seriazione delle stigmatizzazioni prenda la sua origine. Opposti alle virtù nelle chiese, intesi come negativo del positivo virtuoso, quindi antitipi dello specchio di virtù, i vivi hanno, specie in epoca moderna, rivendicato la loro indipendenza tanto da farsi adottare quali manifestazioni fontali dell'uomo. E tali sono, a ben pensare, in quanto sono l'opposto delle virtù, ossia di quello che Tommaso d'Aquino seguendo la linea aristotelica chiamava l'habitus mentis, che possiamo svilire traducendo con abitudine intellettuale o, meglio, atteggiamento abituale. Perché il vizio, al contrario della virtù, non paga alcuno scotto alla volontà, ma si arena sul primario, infantile istinto egocentrico dell'istantaneo impulso. Ma, allo stesso tempo, diventa si habitus, perché il vizio, non più arginato (qui sarebbe meglio dire digato) dal suo tipo, trasforma l'inclinazione in abitudine, incallisce, cioè, facendo diventare durevole l'istantaneo. è per questo che i vizi sociali, quelli che denotano il rapporto tra la persona e la compagine degli uomini, Balduzzi li incarna in personaggi anziani, cartapecore in immagine di una vita scritta nell'esercizio diuturno dell'antivirtù, dell'antitipo, dell'avarizia e della superbia, bloccate nella solitudine esistenziale generata dal sospetto o dall'abuso degli altri, e altrettanto dall'abuso e dal sospetto per gli averi. Tutto il resto è gioventù, perché gli altri vizi a ben pensare sono tutti progressivi, acuiscono l'habitus e, alla fine, vanno a confluire nei due detti sopra, avarizia e superbia, come segnale, esito ultimo della concupiscenza umana. Bellissime nudità, quelle dei cinque vizi giovanili: tenerezze ancora capaci di flettersi, non ancora cartapecore già scritte, ma pericolosamente inclinati verso l'impulsivo desiderio dell'istante vizioso avviato a prolungarsi per tutta l'esistenza. è il vizio al suo sbocciare, quando, cioè, ancora conserva la parvenza del rimediabile, mentre, preso poco più in là, già mostrerebbe le crepe della diuturnità antiattrattiva. Come un frutto alle soglie della marcescenza. E quindi l'ottavo: il vizio moderno (ma sempre esistito) che non ha nome perché è tutti e sette gli altri insieme e, allo stesso tempo, ne è l'ultimo, inesorabile compimento. è il vizio che espande al massimo l'intenzione egocentrica di possesso giungendo al suo esatto opposto, alla disperazione, alla vendita della propria individualità in nome dell'esternazione, dell'apparire effimero, delirante, tragicamente senza confini. E, seppur descritto in questi termini drammatici, è il vizio che più distingue l'umanità. è la trappola dell'antitipo archetipale che si nasconde nelle pieghe dell'umano, insoddisfatto desiderio di imporsi dell'io. Balduzzi realizza questi vizi piegando la sua pittura al contenuto, così da risultare logoramento sensuale nella gola, altezzoso nella superbia, consunto nell'avarizia... e così via. Lucida, perfetta, eppure sintetica, la sua pennellata non indugia in particolari inutili o eccessivi: solo lo stretto necessario entra nel cono ottico del suo dipingere. I fondi indistinti paiono fondali per poveri attori di questa commedia umana in otto atti; gli abiti logori, le fisionomie scavate, fanno tornare alla mente qualcosa di primo Novecento e, nella mise en scène, le essenzialità scabre di Strehler alle prese con Pirandello. Cita Caravaggio, Boldini, Annigoni ... e se stesso, anche con accenti ironici, facendo deflagrare la sua pittura nei brandelli di queste rappresentazioni che della compatta, maniacale perfezione di un tempo, hanno conservato la parte più bella: la potenza e l'unicità del gesto pittorico.
Giuseppe Fusari