FRANCO BALDUZZI. Un'improbabile intervista

di Giuseppe Fusari


autoritratto Seppia su carta antica Cm 40 x 33


"Non mi piace la fretta; per guardare un quadro occorre tutta la calma necessaria". È quello che mi ha detto Franco Balduzzi la prima volta che sono capitato a casa sua. Assalito, vorrei quasi dire aggredito, da tutti quei quadri, ma soprattutto da quegli oggetti, da quelle figure, da quelle mani, da quei gesti, non riuscivo a fermare l'occhio su un particolare. Poi lui che, tra il severo e il bonario, mi butta li quella frase… Non mi è parsa subito un rimprovero. Tutt'altro. Credo che, capito il mio iniziale smarrimento, stesse cercando di farmi capire la chiave per guardare i suoi dipinti. La calma, la riflessione: il primo degli elementi della pittura di Balduzzi. Però un elemento che sta ancor prima del quadro, fuori dal quadro; è cioè un prerequisito per accostarsi ai suoi quadri. La calma. "Vedi - mi dice un'altra volta - quello che conta oggi è fare presto, produrre molto. Vedono i tuoi quadri, piacciono, e ti chiedono subito quanti ne puoi fare. una specie di catena di montaggio. E quando ti capita di vedere qualcuno che viene a una tua mostra, quella magari nella quale hai voluto raccogliere momenti importanti del tuo percorso artistico, e guarda distrattamente, fa il giro, e poi viene lÌ e ti dice: bello, complimenti. Ecco preferirei non ricevere quei complimenti". La calma. Calma del contemplare, per chi guarda i suoi quadri, ma anche calma del pittore che davanti al miracolo della creazione ha bisogno del suo tempo. Mi ha parlato diverse volte della catena di montaggio, della produzione forzata, quasi una produzione in serie a cui sono sottoposti alcuni artisti contemporanei. "E tu - gli chiedo io, di impertinenza - tu, quanti quadri fai all'anno?". Mi guarda, come per dirmi "Non hai capito niente, non è una questione di quantità", poi sorride, per venirmi incontro. "Come faccio a calcolare… trenta, quaranta quadri all'anno, di quelli di media dimensioni… Però se ne dipingo uno grande, arrivo forse a dieci. Ci vuole il suo tempo… Non potrei impegnarmi a dipingere una quantità di quadri. Bisogna vedere cosa voglio dipingere". E come… Anche la tecnica che usa Balduzzi è obbligatoriamente un esercizio di calma, di lentezza. "Tu che tecnica preferisci?" "Per le figure - mi risponde - uso il pastello e la tempera grassa. È stata una ricerca lunga quella della tecnica giusta da usare e ha coinciso con la mia scelta di dedicarmi al figurativo nel solco del realismo". "Quindi non hai sempre dipinto così - azzardo - hai avuto un percorso". Mi mostra un piccolo quadretto. "Questo l'ho dipinto a dieci anni. A guardarlo adesso lo vedo che è brutto… per quello che sono adesso, intendo. I primi quadri su tela li ho fatti a dieci anni; la prima mostra l'ho fatta a tredici, però dire perchè ho cominciato è una cosa difficile: avevo la sensazione di toccare il cielo quando facevo un quadro, era una voglia matta di fare… È una cosa che mi sono sempre sentito dentro. Allora dipingevo a olio, soprattutto paesaggi, cavalli… ma niente figura perchè ne avvertivo la difficoltà; dal 1978 in poi ho cominciato a utilizzare il pastello e in seguito a sperimentare la tecnica della tempera grassa che oggi è quasi del tutto in disuso. Non basta dipingere; è necessario conoscere i pigmenti, la preparazione, tutto quello che garantisce la maggiore durevolezza possibile. Allora sono andato alla ricerca di prodotti che riuscissero a mantenersi nel tempo". "Torniamo a te - gli dico - chi ti piaceva allora? Cioè, quali erano i tuoi ispiratori?". "All'inizio non avevo ispiratori: ero molto confuso, non avevo una meta, un pittore… Poi, ho conosciuto Caravaggio di cui avevo sentito appena parlare, come lo conosce un ragazzo a scuola, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, tutti i maggiori. Mi sono avvicinato di più, ho cercato di capirli, a vedere tutto in un'altra ottica, non più come un bambino, ad amare con anima e corpo l'arte, soprattutto visitando musei. Il salto di qualità, che coincide con l'avvicinamento alla figura, è stato nel '79: in quella mostra ho presentato cinque o sei ritratti, non figure ancora, ma ritratti veri e propri, nei quali cercavo di esprimere l'anima, l'interiorità; poi è venuta la figura, con le sue difficoltà … fino ai risultati di oggi. … "Un quadro - aggiunge lui - non deve esprimere una cosa sola: deve trasmettere varie sensazioni. Questa è l'anima di un quadro. Senza quest'anima un ritratto diventa come la fotografia della carta d'identità, statica, ferma, con lo sguardo nel vuoto. Invece in un dipinto si deve imprigionarla, soprattutto nello sguardo, per riuscire a dare qualcosa che… non sempre riesce". In modo provocatorio, provo a chiedergli se allora, per catturare l'anima, non sia necessaria una specie di astrazione. "La tua quindi è una specie di astrazione realistica". "Si però rimanendo sempre nel capibile…". "Perchè hai l'oggetto…" incalzo io. "L'oggetto è fondamentale perchè io possa raccontare qualcosa". "E cosa racconti ?". "Soprattutto me stesso, la mia idea della vita e della realtà, attraverso i miei soggetti". "E quindi l'astrazione…". "… è l'astrazione del momento giusto, quando l'idea che balena nella mente porta alla tensione massima e quindi alla creazione e li ti accorgi di dover scegliere, tra le mille possibilità quella giusta. Poi viene il momento dell'esecuzione, per il quale occorre il massimo della tranquillità. Per quanto mi riguarda, basta poco per distrarmi e poi dover ricominciare tutto daccapo. Basta quella piuma che cade nell'acqua che non riesco più a dipingere… Questo riferimento alla tranquillità mi fa tornare in mente l'elogio della calma con la quale avevo cominciato questa specie di intervista, la calma necessaria per poter dipingere, la calma per poter contemplare, la calma nella quale sono immersi i soggetti delle opere di Balduzzi. Poi ricordo che l'avevo interrotto sul più bello, mentre stava cominciando a parlarmi della sua tecnica, e in particolare della tempera grassa per la quale occorre, ancora una volta la calma. "Dunque - gli chiedo - a un certo punto della tua carriera, hai deciso di sperimentare delle tecniche antiche, tempera grassa e all'uovo, perchè questa scelta ?". " Come ti dicevo prima, la mia ricerca del cosa dipingere ha coinciso con quella del come dipingere. Nell'81 ho cominciato con la tempera grassa ed era l'unico modo per dare certe velature che con l'olio sono impossibili. Il puro pigmento messo in trasparenza, che è permesso dalla tecnica all'uovo, riesce a rendere quella forza e quella sottile percettibilità dei piani visivi che altrimenti resterebbero allo stato di abbozzo. La ricerca per la preparazione delle tavole è stata però la più difficile perchè l'eccessivo o l'insufficiente assorbimento mi impediva di lavorare il colore; allora ho studiato varie possibili basi , fino ad arrivare con l'esperienza a quella ottimale. La preparazione di base non è da sottovalutare: permette al dipinto di conservarsi nel tempo, sia essa la tela o tavola". "Quindi, non rimpiangi l'olio ?". "No, perchè la tempera grassa, mi permette di avere risultati ottimali, con la quale riesco ad approfondire la parte psicologica di temi già stati fatti centinaia di volte… oggi, ciò che cambia è l'idea con cui mi accosto a quello che dipingo: non voglio dipingere soggetti convenzionali. Soggetti, come ad esempio una Maternità, belli da vedere, ma troppo sfruttati". "Cosa intendi però per idea ? - gli chiedo - "Non si può sempre inventare; non puoi inventare, che so… il Don Chisciotte. Inventerai una forma nuova. Dalì ha proposto un Don Chisciotte che prima non c'era, lo ha interpretato in un modo che è diventato subito emblematico. Ma nemmeno quel geniale di Dalì è l'unico modo di rappresentare il personaggio di Cervantes. Io posso trovare un altro 'succo' da esprimere con una figurazione diversa, creare espressioni che secondo me sono fondamentali". … "Quindi un misto di speranza e disillusione, come un pò in tutti i tuoi personaggi, un modo per parlare di semplicità…". "Si, la semplicità… la sincerità della gente comune. Credo più alla persona semplice che ai critici, non perchè non li stimi, ma ho paura di chi guarda solo il risultato estetico, che non si lascia emozionare; la semplicità delle persone si vede dagli occhi e accetta di commuoversi per quelle cose che non dico ma che traspaiono dai miei quadri. Quando, si vede la gioia in una persona, vedere che quello che hai fatto provoca questo, è un'emozione che non puoi esprimere. Questo è il significato dell'Arte. È l'indifferenza che mi fa paura. Lo scopo è quello di trasmettere qualcosa. E poi nei miei quadri parlo di me, di quello che sono, e io non sono diverso da quello che dipingo".


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